La storia

Geograficamente “schiacciata” tra la Lituania e l’Estonia, la Lettonia è tradizionalmente suddivisa in quattro regioni etnografiche: la sua Costituzione (datata 1922 e, con alcune modifiche, ancora in vigore) riconosce a pieno titolo Curlandia, Latgallia, Semigallia e Terra di Mezzo, ognuna recante in sé una sua storia del tutto peculiare.

Se il nome attuale prende le mosse dalla regione della Latgallia e dal popolo dei Latgalli che la abitava, la storia lettone può dirsi iniziata con quella del popolo dei Livoni, di ceppo ugrofinnico, intorno al XII secolo.

La persistenza del paganesimo e la relativa distanza dai centri nevralgici del potere in epoca medievale, la portarono ad essere oggetto di una impegnativa campagna di cristianizzazione ad opera dei cavalieri teutonici tra il 1180 e il 1227 (di cui resta minuziosa traccia nella imponente cronaca in latino di Enrico di Lettonia, il Chronicon Livoniae). L’arcivescovo Alberto fondò la città di Riga a protezione di una sede vescovile influente, in contesa con i cavalieri dell’Ordine Teutonico fino al 1561, anno in cui la Livonia fu direttamente annessa al Regno di Polonia, di cui faceva parte anche il Granducato di Lituania.

I castelli lettoni (i più famosi sono Cesis, Bauska e Sigulda) recano ancora le tracce, a tratti sbiadite, dell’accavallarsi delle dominazioni e dell’infuriare delle continue guerre che insanguinarono Livonia e Curlandia e che portarono all’avvicendarsi di sempre più cruenti dominazioni: la Svezia prima (nel 1721 con la grande guerra del Nord) e l’Impero zarista poi (dal 1795, con la terza spartizione della Polonia) si insediarono nelle attuali terre lettoni, modificandone i costumi, importando la lingua e così procacciandosi l’agognato accesso sul Mar Baltico.

La Lettonia otterrà la piena indipendenza solo a seguito della firma del trattato di Riga (1920) che pose termine a un cruento biennio di guerra civile (1918-1919), nota come guerra d’indipendenza lettone, che portò, tra le altre cose, alla sostanziale cacciata dal paese della borghesia tedesca, insediatasi fin dal Medioevo. I lettoni, finalmente consapevoli della propria identità nazionale e spalleggiati economicamente e militarmente da Regno Unito e Francia, ebbero la meglio sulle forse russe bolsceviche, in un periodo già segnato dalla grande confusione politica in Europa orientale, a seguito della ben nota Rivoluzione russa.

Con il patto Molotov-Ribbentrop del 1939, la Lettonia tornò nella sfera d’influenza sovietica e terminò così  il primo governo lettone di Kārlis Ulmanis (primo ministro dal 1918 e presidente dal 1936), tacciato dagli storici (al pari del suo vicino lituano Smetona) di rigida dittatura. La Lettonia tornerà ad assaporare aria di libertà solo nel 1991, alla dissoluzione dell’Urss che già il 6 settembre ne aveva riconosciuto la piena indipendenza.

In seguito al ripristino dell’indipendenza la Lettonia ha fatto il suo ingresso nella NATO, nell’Unione Europea (2004) e anche nell’area Euro, diventando il diciottesimo paese ad adottarlo nel 2014, tre anni dopo l’Estonia e un anno prima della Lituania.